Dal palazzo del Re alla Casa albergo comunale, e poi…
Abbi Ahmed arriva dal Marocco nel 2012. Ha già lavorato, e non in un posto qualunque: nel palazzo del Re. Ma i soldi erano pochissimi. Giunge a Reggio Emilia per migliorare la sua condizione. Qui siamo nel pieno della crisi economica avviatasi nel 2008. Tre mesi in Francia, poi di nuovo a Reggio nella Casa albergo comunale gestita da Dimora d’Abramo. Abbi sorride e lavorando corre, sorride e corre sempre. E’ qui che si accorgono di lui. Delle sue straordinarie capacità, di ciò che sa fare e di quanto ancora potrà fare. Ora ha una casa tutta sua, un contratto a tempo indeterminato e fa l’adulto accogliente per Dimora d’Abramo. Sorride. E Piergiorgio Paterlini ce lo racconta.
Colloquio con Abbi Ahmed
(con la partecipazione di Sara Cerroni ed Enrico Serri)
Se volete togliervi per sempre dalla testa la distinzione fra migranti “politici” e migranti “economici” – utile solo a discriminare (e scremare) chi ha diritto a protezione e accoglienza – dovete parlare con Abbi Ahmed.
L’avevo incontrato già quattro anni fa. Saliva e scendeva le scale di una casa appena data in affitto a Dimora d’Abramo, portava su mobili, sistemava serrature, dava ordini con autorevolezza ma senza la minima arroganza ai due ragazzi che lo aiutavano. Correva come un dannato, rispondeva al telefono, faceva cinque cose insieme, ma – giuro – con assoluta calma, padronanza di sé, sicurezza, la tranquillità di chi ha i nervi saldi e la consapevolezza di sapere quello che bisogna fare e di come farlo, di chi ha tutto sotto controllo, una di quelle persone che i problemi li risolve invece di crearli o anche solo segnalarli e passarli a qualcun altro. Soprattutto sorrideva. Sembrava qui da un milione di anni. E uno a cui avresti dato le chiavi della tua macchina nuova senza neanche chiedergli il nome. Oggi scopro che era in Italia da poco, e di problemi ne aveva molti. Ma quel sorriso mi è rimasto impresso, e così quella padronanza di sé, la sicurezza che ti dà sicurezza. Abbi era così, su e giù per le antiche scale del centro storico, con il cellulare all’orecchio, l’altra mano a reggere una rete da materasso. Ed esattamente così lo ritrovo oggi.
Chi lo conosce bene e lo frequenta ogni giorno dice «non l’ho mai visto arrabbiato, non l’ho mai visto senza sorriso». E – badate bene – non un sorriso stampato, un po’ finto, da sciocco, no, un sorriso che sembra, anzi è, ogni volta nuovo. Se vi suona esagerato, o retorico, cercate Abbi. Sempre riusciate a trovarlo, perché oggi gestisce la manutenzione di duecento appartamenti in tutta la provincia e coordina il lavoro di una decina di persone. Senza perdere un colpo.
Abbi arriva dal Marocco nel 2012. Se Dio vuole non su un barcone bucato ma su un aereo, ha un cugino, praticamente un fratello, che abita già nella nostra città. Poco più che trentenne, facoltà di Economia alle spalle, e anche un diploma specialistico nel campo della climatizzazione (celle frigorifere e roba del genere), ha già lavorato cinque anni nel Palazzo del Re (sembra una fiaba) al Nord del suo Paese.
«I soldi erano pochissimi – racconta Abbi – ho pensato di venire in Italia per migliorare la mia condizione. Ma arrivo proprio nel pieno della crisi iniziata nel 2008. Lavoretti di poche ore, pagati in nero. Faccio il magazziniere a Montecchio per due mesi poi vado in Francia, dove avevo dei parenti, in particolare una zia che mi ha aiutato e ospitato. Là era meglio, tra l’altro la Francia riconosceva i miei attestati di studio mentre l’Italia no, ma c’era il solito problema dei documenti. Dopo tre mesi devo tornare in Italia e ricominciare tutto d’accapo».
È così che Abbi viene accolto alla Casa albergo comunale, gestita da Dimora d’Abramo, un crogiuolo – come si dice – di razze e religioni, di vite spezzate in attesa di ritrovare un filo e ripartire, di disperazioni e speranze, di uomini adulti così diversi tra loro per carattere ed esperienze.
Abbi entra in Casa albergo nel 2012 ed esce nel 2013, rientra nel 2014 ed esce, questa volta definitivamente, nel 2016.
«Tornato a Reggio Emilia – racconta – per sei-sette mesi faccio pulizie industriali, un mestiere un po’ pericoloso, come quando devi salire su una scala molto in alto per pulire i vetri esterni dei palazzi. Comincio a studiare sistematicamente la lingua, prendo la terza media, trovo un appartamento con un amico del Marocco, ma lui era sposato, ottiene il ricongiungimento con la famiglia e io cosa faccio? Torno in Casa albergo, sempre con il problema del poco lavoro, dei pochi soldi».
Ma è proprio in Casa albergo che tutti si accorgono di chi sia Abbi. Di cosa voglia dire raggiungere grandi obiettivi se si rema nella stessa direzione, di come una persona che chiede aiuto per i propri problemi possa rivelarsi una persona che risolve i problemi degli altri. Non un cliente “normale”, ma uno sempre attivo, propositivo, più una risorsa che un bisognoso. Abbi non sta mai fermo. C’è da aggiustare un rubinetto? Ci pensa Abbi. C’è una porta da sistemare? Ci pensa Abbi. «Non c’è problema» è la frase che gli esce continuamente dalla bocca.
Chi si farebbe sfuggire uno come lui? Dimora d’Abramo gli propone un tirocinio, poi una prima assunzione di sei mesi, poi un contratto a tempo indeterminato. È talmente affidabile che Abbi di giorno lavora come manutentore tuttofare, di sera abita come “adulto accogliente” in un appartamento che accoglie quattro minori del Progetto Sprar (è uno dei due adulti responsabili della sicurezza notturna dei ragazzi), e come non bastasse di sera, dopo il lavoro, per tre ore, prima di andare a dormire e a far dormire i ragazzi, per tre anni fa l’Iti e diventa perito in meccatronica.
Oggi Abbi ha comprato una casa, tutta sua, con un regolare mutuo «ma spero di estinguerlo – dice – non mi piace avere delle pendenze». Ogni tanto torna in Marocco per vedere la madre e la sorella, ma la sua vita è qui, una vita di corsa, di lavoro e di studio, una vita sorridente.
Voglio fare un passo indietro e farmi raccontare un po’ meglio la Casa albergo, io l’ho vista e mi è sembrata una situazione difficile, diciamo così. Anche in questo racconto di un pezzo di vita che si è lasciato per sempre alle spalle viene fuori l’Abbi che sto conoscendo. «Prima di tutto – dice – l’Italia è molto più accogliente della Francia. Là ti fanno un sorriso ma non si crea nessun rapporto profondo. Qui i rapporti personali sono molto più intensi. In Casa albergo, ma anche con tutti i miei giri tra gli appartamenti in cui accogliamo i migranti, ho conosciuto tante persone diverse, diverse culture, ho cominciato a capire le differenze fra tunisini, algerini… Insomma, se ne hai voglia puoi aprire gli occhi su tante cose che prima non vedevi o non conoscevi. Ma alla fine capisci soprattutto che siamo tutti uguali, un cuore, una testa. In Casa albergo, il mio secondo ingresso ha coinciso con una grande ondata migratoria, erano i tempi di “Mare Nostrum”, c’era casino, era difficile tenere tutto pulito, in ordine, io mi davo da fare. È stato difficile ma ci siamo anche divertiti: le cene insieme, un po’ di attività comuni, vedere un film in compagnia. I francesi hanno ragione solo su una cosa, quando dicono “se vuoi puoi”».
E adesso?
«Adesso i problemi grossi sono finiti. Ho ricevuto. Ho dato. Vorrei viaggiare. Vedere il Nord Europa, e Napoli e la Sicilia dove non sono mai stato. Ma perché mi incuriosiscono molto, non per ritrovare qualcosa del Marocco nel Sud dell’Italia, non per sentirmi più vicino a quella che un tempo è stata la mia casa. Non ho nostalgia. Guardo avanti».
Piergiorgio Paterlini